Cristina Petrelli – Niente è troppo strano per essere vero

Oggetti d’uso più o meno comune, luoghi riconoscibili, sono i campi d’indagine di Cristiano Berti. Una visione cittadina notturna, immobile e silenziosa, è la protagonista di Silent Nights dove, la magia dell’oscurità diventa lo scenario di una delicata epifania. Un breve video di 30” che, nel lasciare sorpresi e incantati, suggerisce il punto di vista, l’atteggiamento utilizzato dall’artista nella sua personale analisi della realtà. Nella fotografia lenticolare Ancona convivono due immagini di un medesimo luogo: uno scorcio di un parco pubblico urbano. Un luogo allo stesso tempo uguale e diverso che, anche per l’identità stessa del mezzo usato, la fotografia, diventa fonte di dubbio, di riflessione, nell’impossibilità di affermare quale sia la visione realmente esistente. Nessuna frase più di quella di Saul Bellow scelta dall’artista quale titolo della mostra, “Niente è troppo strano per essere vero”, esprime meglio questo concetto, rivelando un’attenzione comune a tutte le opere esposte e, più in generale, all’intero lavoro dell’artista. Si ritrova, infatti, in Berti un insistere sull’insolito, sull’inaspettato, sul perturbante. Uno sguardo trasversale che l’artista dirige sulla realtà, su quella quotidiana, da tutti riconoscibile. È il caso di Scuola di Modellato un’installazione composta da 24 copie di calchi positivi di gambe. Risalenti agli anni ’80, questi oggetti in resina sono arrivati all’artista dopo la dismissione da parte di un laboratorio ortopedico. Oggetti utili, non certo di destinazione artistica, che vengono presi e posizionati su una parete. Un’operazione concettuale, più che fisica, che privando l’oggetto della sua reale funzione ne modifica il significato. Infatti, nell’esporre i calchi, l’artista si rifà alla tradizione classica appendendoli al muro, così da renderne possibile l’osservazione. Intenzionale diventa, quindi, il rimando diretto alle Gipsoteche accademiche o, come dichiarato dal titolo, alle Scuole di modellato dato il naturalismo degli oggetti, in tutto e necessariamente somiglianti ad arti umani. Berti, accostandoli in modo sistematico, consente di notare le uguaglianze e le differenze instaurando un processo di classificazione. Un procedimento che rimanda in qualche modo anche alle prime raccolte museali, le “Wunderkammer” diffusesi tra il XVI e il XVIII secolo, nelle quali si raccoglievano una serie disparata di oggetti, da quelli curiosi, ai rari, ai preziosi, al fine di voler rappresentare nella sua interezza il mondo. Un intento comune all’installazione di Berti dove si crea, come nell’iniziale forma di musealizzazione, un contrasto insanabile tra un’osservazione statica degli oggetti, per studiarli e comprenderli, e la loro unicità che, nel caso specifico, riguarda calchi realizzati in seguito ad amputazioni. Non si può, dunque, ignorare la dimensione intima di un oggetto carico di un proprio portato individuale di dolore e sofferenza. Dall’operazione di classificazione invece di ottenere una catalogazione, un chiarimento, nasce una reazione empatica, un coinvolgimento emotivo profondo. Di nuovo l’artista provoca quello scarto, nel relazionarsi a oggetti d’uso, che induce a riflettere. È come se Berti si muovesse su una linea sottile che separa il rigore dall’incertezza, la perfezione dall’errore, e non in modo netto, ma attraverso un costante processo osmotico dove questi due aspetti della realtà non appaiono mai totalmente distinti e divisibili. Di nuovo siamo soli, impotenti, di fronte all’ineluttabilità del destino umano senza nessuna possibilità di ricorrere alla ragione umana, alla razionalità. Uno stato di vertigine semantica viene provocato dagli interventi attuati dall’artista che svela, nell’apparente normalità dell’esistenza, il lato oscuro, il controsenso, l’irrisolto.

© Cristina Petrelli, 2007
da: Cristiano Berti – Niente è troppo strano per essere vero, leaflet della mostra, Fuorizona artecontemporanea, Macerata, 2007